METODO
PER
ESEGUIRE SULLA CARTA
IL
FOTOGENICO DISEGNO
RINVENUTO
DAL SIGNOR
FOX TALBOT
SCUDIERE
E
PUBBLICATO DALLA REALE SOCIETÀ DI LONDRA
TRADUZIONE
DI
Gaetano Lomazzi
Milano
PRESSO GIUSEPPE CRESPI
1839
* * * * *
Ateneo di Londra del 2 Febbraio 1839.
Ci assumiamo il carico di rivolgere la speciale attenzione dei nostri lettori al rapporto sui progressi della Reale Società di giovedì. Dall’estratto della relazione letta in quella sera, appare che la più eminente invenzione del signor Daguerre descritta nella lettera del nostro corrispondente di Parigi è quasi identica colla scoperta fatta già da cinque anni dal sig. Fox Talbot, il quale erasi anche da poi occupato a perfezionarla. Di questi e de’ suoi risultati noi possiamo parlare dietro le osservazioni fatte, e certamente quando consideriamo i mezzi impiegati, ed il limitato tempo — il momento del tempo che è spesse volte bastante — gli effetti prodotti sono veramente magici. La più subitanea di tutte le cose — un ombra è fissata: e resa permanente, ed il punto reale di molti degli oggetti, la squisita delicatezza del disegno, se possiamo servirci di questa frase, può solo scoprirsi con una perfetta lente. Il sig. Talbot propose per questa nuova arte di chiamarla: fotogenico dipinto. Essa abilita qualunque persona, anche ignara dell’arte del disegno, ad ottenere fedelmente le rappresentazioni degli oggetti senza neppur richiedere la sua presenza; cosicchè questi dipinti si possono eseguire mentre l’operatore è intento ad altre cose. Una sensibile differenza, come ci sembra, fra il processo del sig. Daguerre, e quello del sig. Talbot si è, che il primo impiega le lamine di metallo, e l’altro fa uso della carta preparata. Non vi può essere quistione sul maggior vantaggio dell’ultimo, poichè sarebbe inconveniente, se non intieramente impraticabile per il viaggiatore di portar seco alcune centinaia di lamine di metallo. Al tempo stesso bisogna ammettere, che se il nostro corrispondente di Parigi è bene informato, una più grande differenza di quella che è apparentemente deve ritrovarsi, mentre il sig. Talbot non può, crediamo, col suo processo rilevare i punti di veduta col chiaro della luna, che il nostro corrispondente asserisce di poter eseguire il sig. Daguerra. Cionullameno speriamo di essere in breve informati sopra questo soggetto, che consideriamo di tale importanza, che l’estratto della memoria del sig. Talbot possa servire ad informare i filosofi continentali del fatto di queste simultanee scoperte, che crediamo di potere nella seguente settimana per intiero pubblicare.
Ateneo del 9 Febbrajo 1839.
Fotogenico disegno.
Alcuni ragguagli dell’arte del fotogenico disegno, ossia processo, col quale gli oggetti possono da loro stessi delinearsi senza l’ajuto del pennello dell’artista.
Di Enrico Fox Talbot scudiere.
1. Nella primavera del 1834 cominciai a mettere in pratica un metodo, che aveva divisato qualche tempo innanzi per impiegare utilmente la curiosissima proprietà, stata da lungo tempo conosciuta dai chimici, che possedeva il nitrato d’argento, principalmente il suo scoloramento quando era esposto al raggio paonazzo della luce. Questa proprietà mi parve di essere forse capace di un utile applicazione nel seguente modo.
Proposi di spargere sopra un foglio di carta una sufficiente quantità di nitrato d’argento, e di porlo alla luce del sole, avendo prima collocato avanti la carta qualche oggetto che vi gettasse una ben decisa ombra. La luce agendo sul rimanente del foglio, naturalmente lo annerirebbe, mentre le parti ombreggiate riterrebbero la loro bianchezza. Così io attendeva; che un genere d’immagine, o disegno sarebbe prodotto rassomigliante in certo grado all’oggetto, dal quale era derivato. Sperai pur anche, che sarebbe necessario di conservare tali immagini in un portafogli, e di guardarle soltanto al lume della candela, giacchè colla luce del giorno lo stesso natural processo, che formava le immagini la distruggerebbe coll’annerire il resto della carta. Questa fu la concepita mia idea prima di porla in uso, e che fosse corretta dalla esperienza. Non fu che dopo qualche tempo, e quando giunsi ad avere alcuni nuovi e curiosi risultamenti, che pensai d’indagare se questo processo sia stato proposto, o tentato prima. Trovai che infatti lo fu, ma che apparentemente non venne proseguito in qualche estensione, o con perseveranza. Le poche notizie, che potei raccogliere erano vaghe, e non soddisfacenti: unicamente dimostranti, che con certo metodo si poteva ottenere l’abbozzo di un oggetto senza indicare alcun dettaglio intorno al migliore e più vantaggioso modo di procedere. Il solo certo calcolo della materia che può produrlo è contenuto nel primo volume del giornale del Reale Istituto alla pag. 170, da cui appare che l’idea fu originariamente concepita dal sig. Wedgwood, e che una numerosa serie di esperimenti si fecero tanto da lui, che dal sig. Humphry Davy, i quali terminarono coll’abbandonarlo. Mi prenderò la libertà di citare pochi passaggi di questa memoria.
«La copia del dipinto immediatamente dopo di essere formata bisogna tenerla in un luogo oscuro. Essa deve essere veduta all’ombra; ma in questo caso l’esposizione sarà solo per pochi minuti. Nissuno dei tentativi fatti, onde prevenire che le parti non colorate siano intaccate dalla luce, ebbe finora alcun successo. Esse furono coperte da una leggiere, e bella vernice, ma questa non aveva distrutta la loro suscettibilità di divenir colorate. Quando i raggi solari sono passati fra un disegno e gettati sul foglio preparato, le parti non ombreggiate sono lievemente copiate; ma i lumi trasmessi sulle parti ombreggiate sono di raro così decisi per formare una distinta rassomiglianza loro, col produrre differenti intensità di colori.
Le immagini formate col mezzo della camera oscura sono state trovate troppo deboli onde produrre in qualche moderato tempo un effetto sul nitrato d’argento. Il copiare queste immagini fu il primo oggetto del Sig. Wedgwood; ma tutti i suoi diversi esperimenti ebbero un esito sfortunato.»
Tali sono le osservazioni del Sig. Humphry Davy.
Io venni informato da un detto amico, che questo sfavorevole risultato degli esperimenti delli Signori Wedgwood, ed Humphry Davy fu il principale motivo che lo ha scoraggiato a seguire con perseveranza il pensiero che si era proposto di fissare le belle immagini della camera oscura. Non vi è dubbio allora che un così distinto investigatore come il Sig. Humphry Davy abbia annunciato che tutti gli esperimenti furono senza effetto, ciocchè materialmente calcolato doveva scoraggiare una ulteriore ricerca. La circostanza anche indicata da Davy, che la carta, sulla quale queste immagini erano disegnate andava soggetta ad annerarsi intieramente, e che nissun tentativo onde preservarlo ebbe successo, fin d’allora mi avrebbe forse indotto a considerare il tentativo disperato, se non avessi fortunatamente prima di leggere quella memoria di già scoperto un metodo di sorpassare questa difficoltà, e di fissare l’immagine in tal modo, che non fosse più soggetta a pericoli, od alla distruzione.
Nel corso delli miei esperimenti diretti a questo fine fui maravigliato dalla varietà degli effetti, che trovai prodotti da un numero limitato di differenti processi in varie maniere combinati, ed anche alla lunghezza del tempo, che qualche volta passava prima che l’intiero effetto con precisione si manifestasse. Rilevai, che le immagini formate con questo metodo, le quali apparvero ben preservate alla fine di dodici mesi dalla loro esecuzione andavano ciononostante soggette a qualche alterazione nel decorso del secondo anno. Questa circostanza aggiunta al fatto, che la prima prova da me fatta divenne indistinta nel seguito del tempo (essendosi la carta intieramente annerita) m’indusse ad indagare il progresso del cambiamento in un considerabile tempo, mentre io credeva, che forse tutte queste immagini in ultimo smarirebbero. Trovai però con mia soddisfazione, che questo non era il caso, ed avendo allora conservato un numero di tali disegni per il decorso di cinque anni senza che soffrissero verun deterioramento, mi credetti autorizzato a dedurne le conclusioni dalli miei esperimenti con maggior certezza.
2. Effetto, ed apparenza di queste immagini — Le immagini ottenute in questo modo sono bianche; ma il fondo, sul quale si disviluppano è variamente e piacevolmente colorato.
Tale è la varietà, di cui il processo è capace, che soltanto col cambiare le proporzioni, e qualche lieve dettaglio di manipolazione si ottengono varj dei seguenti colori:
Bleu Celeste
Giallo
Color di rosa
Bruno di varie gradazioni
Nero
Il verde unicamente non è compreso, ad eccezione di un’ombra oscura di esso, che si approssima al nero.
La varietà del color bleu produce un aggradevole effetto, alcuna volta simile a quello formato sulle stoviglie di Wedgwood, che ha le figure bianche, ed il fondo bleu. Questa varietà ritiene anche i suoi colori perfettamente, ed ove si preservi in un portafogli, e non sia soggetta ad alcuno spontaneo cangiamento, non richiede alcun processo preservativo. Tali differenti gradi di colori sono naturalmente altrettanti diversi composti chimici, di cui i professori non ebbero finora distinta cognizione.
3. Prima applicazione di questo processo. — Il primo genere di oggetti, che provai di copiare con questo processo furono fiori e foglie freschi e scelti dal mio erborario, ed apparvero della maggiore verità e fedeltà, offrendo anche le diramazioni delle foglie, i minuti peli, le tessiture delle piante, ecc.
È così naturale di associare l’idea della fatica col maggior complesso di perfezionati dettagli nella esecuzione, che si è più colpiti al vedere migliaia di piccoli fiori di un Agrosis dipinti con tutti i loro rami capillari, (e così accuratamente, che ciascuno di questa moltitudine abbisognerà delle due valve del calice, che non si scorgono se non colle lenti) di quello di dipingere una grande e semplice foglia di quercia e di castagno. Ma invero la difficoltà è in entrambi i casi la stessa; nè si richiede maggior tempo per eseguir l’una e l’altra, poichè l’oggetto che disegnerà il più valente artista in vari giorni o settimane di lavoro per tracciarlo, o copiarlo, si effettua cogli infiniti lavori di naturali conformazioni in pochi secondi.
Per dare una idea del grado di accuratezza, col quale alcuni oggetti possono essere imitati con questo processo, basterà di far menzione di un solo esempio. Avendo rilevata l’immagine di un pezzo di merletto di un complicato lavoro, lo mostrai ad alcune persone alla distanza di pochi piedi, chiedendo se era una buona rappresentazione? fu risposto di non essere così facile ad ingannarsi, poichè evidentemente non era un dipinto; ma il pezzo di merletto stesso.
Al principio delli miei esperimenti su di tale oggetto, quando osservava di qual bellezza fossero le immagini prodotte dalla azione della luce, mi doleva che fossero destinate a così breve esistenza, e risolsi di tentare, se era possibile, qualche metodo per conservarla, o ritardarne l’effetto. Le seguenti considerazioni mi condussero a credere la possibilità di scoprire un processo preservativo.
Il nitrato d’argento che divenne nero colla azione della luce non è in progresso la medesima sostanza chimica di prima. Conseguentemente se un disegno prodotto colla luce del sole è in seguito soggetta ad un chimico processo, le bianche e le nere parti di questo agiranno differentemente, e non vi è evidenza che dopo quest’azione le bianche e nere parti non saranno lungamente soggette ad uno spontaneo cambiamento; o se esse lo sono, non segue che questo cambiamento tenderà ad assimilarle a ciascun altra. Nel caso, in cui siano dissimiglianti, il disegno rimarrà visibile, e quindi il nostro oggetto sarà compito.
Se fosse asserito che l’esposizione alla luce del sole ridurrà necessariamente il tutto ad una tinta uniforme, che distruggerebbe il dipinto, l’onus probandi evidentemente appartiene a chi lo asserisce. Se noi segniamo colla lettera A. la parte esposta alla luce solare, e colla lettera B. alcuno indeterminato chimico processo; il mio argomento era questo: dopo che non può essere mostrato a priori che il risultato finale delle serie dei processi A. B., sarà lo stesso di quello segnato B. A., sarà prezzo dell’opera di porre la materia alla prova dell’esperimento, cioè col variare il processo B. finchè il vero si scopra, e sino a tanto che siano impiegati tutti i mezzi in modo di precludere tutta la ragionevole speranza della sua esistenza.
Le mie prime prove furono inutili siccome mi aspettava; ma dopo qualche tempo scopersi un metodo che risponde perfettamente e con brevità dopo l’altro. Sopra uno di questi avea specialmente fatti numerosi esperimenti, l’altro lo aveva comparativamente poco usato; perchè pareva di richiedere maggior delicatezza nel maneggio. Era però eguale se non superiore al primo nella bilancia dell’effetto.
Questo chimico cambiamento, che io chiamo preservativo processo era più produttivo di effetto di quello preceduto. La carta che fu prima così sensibile alla luce, divenne completamente insensibile, di modo che io posso mostrare alla Società i saggi che ho esposti per un ora al sole estivo, e dalla quale esposizione conservò la sua perfetta bianchezza.
4. Sopra l’arte di fissare un ombra. — Il fenomeno che ho ora brevemente esposto parve a me che partecipasse del carattere del meraviglioso, quasi quanto un fatto che la fisica investigazione non avesse ancora portato alla nostra cognizione. La più transitoria delle cose, un ombra, l’emblema proverbiale di tutto ciò che è fugace e momentaneo, che fosse concatenato coll’incantesimo della nostra natural magia, e fissata per sempre nella posizione, in cui sembrava soltanto destinata ad occupare un istante.
Questo rimarchevole fenomeno di qualunque valore egli possa considerarsi nella sua applicazione alle arti, sarà almeno accetto come una nuova prova del valore dei metodi induttivi della moderna scienza, che coll’informare di occorse straordinarie circostanze, (che l’accidente forse ha per il primo manifestato in qualche lieve grado) e col seguirle con esperimenti, e variare le condizioni di queste, finchè la vera legge della natura che esse contengono, è conosciuta, ci conduce alla fine a conseguenze del tutto inaspettate, e lontane dalla usata esperienza e contrarie alla universale evidenza. Tale è il fatto, che noi possiamo ricevere sulla carta l’ombra fuggitiva, ed arrestarvela, e nello spazio di un solo minuto fissarla ivi tanto fermamente da non essere più soggetta a variazione ancorchè posta nuovamente ai raggi del sole, dai quali deriva la sua origine.
5. Prima di procedere oltre posso aggiungere di non essere sempre necessario di usare un metodo preservativo. Questo io scopersi se non dopo di avere acquistata una pratica considerevole in tale arte, avendo supposto al principio, che tutti questi dipinti diverrebbero alla fine indistinti quando non si guarantissero in qualche maniera dal cambiamento. Ma l’esperienza mi ha dimostrato che vi sono almeno due o tre differenti modi, coi quali il processo può essere condotto, cosicchè le immagini avranno un carattere di durabilità, purchè siano allontanate dalla azione diretta della luce del sole. Questi modi mi si presentarono piuttosto accidentalmente che altrimenti; in alcuni esempi senza alcuna particolare memoria, essendo stati fatti al momento, per cui non potrei stabilire accuratamente sopra quale particolare oggetto tal sorta di semidurabilità dipendono, o quale regola sia la migliore da seguirsi per ottenerla. Ma come aveva trovato, che la sicurezza delle immagini, le quali non erano state assoggettate ad alcun processo preservativo rimasero intieramente bianche e perfette dopo il lasso di un anno, o due e non mostrarono alcun sintomo qualunque di cambiamento, mentre altre in modo diverso preparate (e lasciate senza preservativo) divennero totalmente nere nella decima parte di quel tempo, credei, che questa singolarità meritasse di essere trascurata. Se sarà di qualche considerazione non lo so, forse si sarà creduta la migliore al principio, e che occorresse la piccola addizione di impiegare il processo preservativo, specialmente quando i disegni così preparati stavano alla luce del sole, mentre quelli non preparati si tenevano in un portafogli, od all’ordinaria luce del giorno senza essere cimentati ad una luce più forte, poichè sarebbero stati esposti ad un cambiamento anche dopo degli anni dalla loro originaria formazione. Questa qualità però ammette un utile applicazione. Mentre tale semidurevole carta, che conserva la sua bianchezza per de gli anni all’ombra, e che soffre un cambiamento ove sia esposta alla luce del sole, è evidentemente propria all’uso di un viaggiatore naturalista in un paese distante, che desidera di conservare il disegno delle piante che ha trovate senza aver la pena di essicarle, o trasportarle con lui. Avrà solo la cura di prendere un foglio di carta, e di gettare l’immagine sulla medesima, e riporla nel portafoglio. Il difetto di questa particolar carta è, che in generale il fondo non si conserva sempre; ma ciò non è di conseguenza, ove l’utilità sola, e non la bellezza dell’effetto è consultata.
6. Ritratti. — Un altro proposito, per il quale credo il mio metodo conveniente si è di poter fare i pro fili dei ritratti, o silhouettes. Queste sono spesso tracciate con una mano dall’ombra formata dal chiaro della candela; ma la mano è soggetta a deviare dai veri tratteggiamenti, ed un piccolo deviamento pro duce una notabile diminuzione nella rassomiglianza.
7. Pittura sul vetro. — Le pitture di ombre che sono formate coll’esporre i disegni sopra il vetro alla luce del sole sono molto piacevoli. Il vetro stesso intorno il disegno sarebbe annerato; nell’egual modo, per esempio, come è spesso impiegato per la lanterna magica. I disegni sopra il vetro non avrebbero la luce dei gialli, e dei rossi, poichè impedisce i raggi della luce violacei, che sono quelli che li formano. Li dipinti così tracciati rassomigliano alle produzioni del pennello di un artista forse più di alcuno degli altri. Le persone, alle quali gli ho mostrati si sono generalmente ingannate: osservando al tempo stesso; che lo stile era a loro nuovo, e che fosse difficile di raggiungerlo. Avvenne in questi dipinti soltanto di osservare l’indicazione del colore. Non aveva avuto il tempo di seguire più avanti questo ramo d’investigazione. Sarebbe una gran cosa se con alcuni mezzi potessimo compire delineamenti degli oggetti coi loro naturali colori. Io non dispero molto nella possibilità di questo; ed anche come aveva appunto ora rimarcato, appare possibile di ottenere almeno qualche indicazione della varietà della tinta.
8. Applicazione al microscopio. — Vengo ora ad un soggetto, che mi sembra molto importante, ed egual mente per provare l’estensiva utilità nella applicazione del mio metodo di delineare gli oggetti al microscopio solare.
Gli oggetti che il microscopio sviluppa alla nostra vista, quanto sono curiosi, ed ammirabili sono altresì spesso singolarmente complicati. L’occhio in vero può comprendere il tutto che esso presenta nel campo visuale; ma gli sforzi del pennello mancano nel tracciare quelle minutissime cose della natura nei loro innumerabili dettagli. Quale artista avrà il talento, e la pazienza bastante per copiarle? o con cedendo che potesse arrivare a farle, non sarebbe egli necessario che consumasse un maggior tempo, che potrebbe più utilmente impiegare?
Contemplando la vaga pittura che il microscopio solare produce, cui colpisce il pensiero se fosse possibile, d’imprimere quella immagine stessa sulla carta, e di lasciare che la natura sostituisca il suo proprio immitabile pennello, perchè imperfetto, tedioso, e quasi disperato sarebbe il tentare di trarne copia di un oggetto tanto complicato.
Il mio primo tentativo non ebbe successo. Quantunque io scegliessi la luce del giorno e formassi una buona immagine del mio soggetto sopra la carta preparata, dopo trascorso un giorno trovai che nissun effetto aveva avuto. Ero perciò quasi disposto ad abbandonare questo esperimento, allorchè mi occorse di osservare che non vi era ragione di supporre, che il comune nitrato d’argento fosse la più sensibile sostanza che esistesse all’azione dai chimici raggi, e sebbene ciò proverebbe eventualmente il fatto, in ogni modo non era da assumersi senza prove. Quindi cominciai un corso di esperimenti all’oggetto di assicurare l’influenza di varj modi di preparazione, e li trovai singolarmente differenti nei loro risultati. Considerai questa materia principalmente in un punto pratico di vista: poichè quanto alla teoria, confesso che non poteva comprendere la ragione perchè la carta preparata in una maniera sarebbe tanto più sensibile, che in un altra.
La conseguenza di questi esperimenti fu la scoperta di un modo di preparazione grandemente superiore nella sensibilità a quella che aveva originariamente impiegata, e col mezzo di questa tutti quegli effetti che aveva prima soltanto indicati come teoricamente possibili, si trovarono realizzabili.
Allorchè un foglio di questa carta, che io chiamerò sensitiva, e posta in una camera oscura, e l’ingrandita immagine di alcuni oggetti ivi gettata dal microscopio solare dopo il lasso di forse un quarto d’ora la pittura è compita. Non aveva per anco fatto uso della forza d’ingrandire dietro il conseguente indebolimento della luce. Naturalmente con una più sensibile carta maggior forza d’ingrandire sarebbe da desiderarsi.
Nell’osservare uno di questi dipinti che aveva fatto circa tre anni e mezzo prima, trovai coll’attuale misura del dipinto, e dell’oggetto che l’ultimo erasi ingrandito diecisette volte in linea, diametrale, e conseguentemente nella superficie 289 volte. Altre ne aveva che riputava considerabilmente più ingranditi, una aveva perduti li corrispondenti oggetti, cosicchè non potei stabilire gli esatti numeri.
Non solo questo processo salva il nostro tempo, e la fatica; ma vi sono molti oggetti, specialmente le cristallizzazioni microscopiche, che si alterano grandemente nel corso di tre, o quattro giorni, (ed esse appena possono tracciarsi da qualunque artista senza poter delinearle nei loro dettagli) di modo che non possono mai essere disegnate nel modo usuale.
Non descriverò i gradi di sensibilità, che questa carta riceve, premesso, che sono ben lontano dal supporre di aver raggiunto il limite, di cui tale qualità è capace. Al contrario considerando i pochi esperimenti che ho fatti (pochi comparativamente al numero, che sarebbe facile d’immaginare e pro porre) lo credo il migliore degli altri metodi che si arrivi a ritrovare, col quale le sostanze possono essere preparate forse tanto trascendenti nella sensibilità ad uno che impiegai, quanto l’ordinario stato del nitrato d’argento concedeva. Ma mi limiterò a quello che ho attualmente compito nella preparazione della carta sensitiva.
Quando un foglio di carta è posto, verso una finestra, non ad una, in cui splenda il sole, ma verso l’opposta direzione, immediatamente principia a scolorarsi. Per questa ragione il foglio preparato col chiaro del giorno non bisogna lasciarlo scoperto; ma appena terminato deve rinchiudersi in un tiratojo, ed ivi lasciarlo seccare, od anche asciugarsi di notte al fuoco. Prima di far uso di questa carta per delinearvi alcun oggetto, io generalmente lo avvicino per poco tempo verso la luce per dargli una lieve ombra di colore al fine di vedere se il fondo sia eguale. Se tale è, quando è portata ad una piccola estensione, si troverà la prova nel finale risultato. Ma se vi sono pochi gradi, o parti che non possono acquistare la medesima tinta, come nel rimanente, tale foglio di carta è da rigettarsi, poichè evvi un rischio, che adoperandolo invece di presentare un fondo uniformemente oscuro, che è l’esenziale alla bellezza del disegno, avrà delle grandi macchie bianche, delle parti intieramente insensibili all’effetto della luce. Questa singolare circostanza io rammenterò altrove: egli è sufficiente di qui avvertirla.
La carta adunque che è prontamente sensitiva alla luce di una finestra comune, lo è naturalmente molto più alla direzione della luce del sole. Tanta è la velocità dell’effetto allora prodotto che la pittura si direbbe terminata quasi appena incominciata.
Per dare qualche più certa idea della rapidità del processo esporrò, che dopo varie prove, il più prossimo assegnamento che io potei fare del tempo necessario per ottenere il dipinto di un oggetto, quanto per avere un ben distinto tratteggiamento coll’impiegare la piena luce del sole, fa di un mezzo secondo.
9. Architettura, paesaggio, ed esteriore natura. — Forse la più curiosa applicazione di quest’arte è quella che sono per riferire; almeno quella che sembra la più sorprendente fra le altre che ho esaminate nella mia collezione di disegni, è formata dalla luce solare.
Ognuno sa quali vaghi effetti sono prodotti con una camera oscura, ed ha ammirato il brillante dipinto della esteriore natura, che, si spiega. Mi è spesse volte occorso il pensiero che se fosse possibile di trattenere sulla carta la graziosa scena in tal modo illuminata per un istante, o fissare il tratteggio di essa, la luce e le ombre spogliate di tutti i colori, non potrebbe essere che molto interessante. Quantunque fossi disposto al principio di trattare questo pensiero come un scientifico sogno, quando arrivai a fissare le immagini del microscopio solare col mezzo di una particolare carta sensitiva, sembrava più lontano il dubbio che con un analogo processo riescirebbe di copiare gli oggetti della esteriore natura, sebbene siano ben poco illuminati.
Non avendo meco in campagna una camera oscura di qualche considerabile grandezza, ne costrussi una a guisa di una ampia cassetta, e l’immagine fu ri flessa sulla estremità di essa con un buon vetro obbiettivo fissato nella parte opposta. In questo apparato, nel quale eravi una carta sensitiva, fu posta la cassetta in un dopo pranzo di estate circa un centinajo di braccia (yards) dal fabbricato favorevolmente illuminato dal sole. Un’ora, o due dopo apersi la cassetta, e trovai dipinta sulla carta una distinta rappresentazione del fabbricato, ad eccezione di quelle parti che erano ombreggiate. Una piccola esperienza in questo ramo di arte cui dimostrò, che con una più piccola camera oscura l’effetto sarebbe prodotto in più breve tempo. Di conformità io ho fatto alcune piccole cassette, nelle quali fissai le lenti di un più, corto fuoco, colle quali ottenni delle perfette, ma estremamente piccole pitture, le quali senza gran forza d’immaginazione si potevano supporre l’opera di un Lilliputiano artista. Bisogna però esaminarle colle lenti per distinguere tutte le loro minute parti.
Nell’estate del 1835 feci in tal modo un gran numero di rappresentazioni della mia casa di campagna, che è ben situata a tale intento per la sua antica, e rimarchevole architettura. E questo fabbricato, io credo, che fosse il primo conosciuto per aver di segnati i suoi proprj tratti.
Il metodo di procedere fu questo: avendo prima adattata la carta al conveniente fuoco di ciascuna delle piccole camere, presi un numero di loro con me fuori della porta e le collocai in differenti situazioni intorno al fabbricato. Dopo una mezz’ora le raccolsi mi portai entro la casa per aprirle, e trovai in ciascuna una miniatura degli oggetti che furono dinanzi a loro.
Al viaggiatore in distanti contrade, che è ignaro, come molti sgraziatamente lo sono, nell’arte del disegno, questa piccola invenzione può essere di un utile servigio, ed anche all’artista stesso per quanto possa essere esperto, mentre sebbene questo naturale processo non porti un effetto molto rassomigliante alla produzione del suo pennello, e non sia capace di rimpiazzarlo, può risovvenirgli quale era la situazione, onde potere in breve ora delineare delle località molto interessanti.
Nulla poi trascurando dalla simultanea disposizione nelle differenti disposizioni di alcune di queste piccole camere, egli è evidente che il collettivo risultato riveduto dopo, può somministrare un gran corpo di interessanti memorie, e con numerosi dettagli, che non aveva il tempo di scrivere, o delineare.
10. Delineazione delle sculture. — Un altro uso che propongo di fare di mia invenzione è la copia delle statue, e de’ bassi rilievi. Io li pongo ad un forte lume del sole, e colloco avanti di loro ad una conveniente distanza, e nella voluta posizione una piccola camera oscura contenente la carta preparata. Con tal modo ho ottenute le immagini di varie statue, ecc. Non ho proseguito questo soggetto in molta estensione, ma attendo degli interessanti risultati da esso, e che si possa utilmente impiegare in molte circostanze.
11. Copia delle incisioni. — L’invenzione può essere adoperata con grande facilità per ottenere le copie dei disegni, e delle incisioni, o far simili manoscritti. A questo proposito l’incisione è calcata sopra la carta preparata colle sue incise parti in contatto colla medesima. La pressione bisogna che sia uniforme per quanto è possibile, acciò il contatto sia perfetto, poichè il minimo intervallo danneggia sensibilmente il risultato col produrre un genere di offuscamento in luogo della forma compressa dell’originale.
Allorchè si pone al sole, la luce gradatamente attraversa la carta, ad eccezione di quelle parti, ove essa è difesa dalle poche linee della incisione; quindi naturalmente fa una esatta immagine, o dipinto del disegno. Questo è uno degli esperimenti che Davy, e Wedgwood asserirono di aver tentato; ma non ebbe effetto pel bisogno di una sufficiente sensibilità nella loro carta.
La lunghezza del tempo richiesta per effettuarne la copia dipende dalla spessezza della carta, sulla quale l’incisione era stata formata. Al principio ho creduto che non sarebbe possibile di ottenere l’intento colla carta grossa; ma trovai dietro un esperimento, che il successo del metodo fu in qualche modo compito. Basta al proposito, ove la carta permetta il passaggio ad alcuno dei raggi solari. Quando la carta è grossa rilevai che si richiede una mezz’ora per formare una buona copia. In tal modo copiai in alcuni minuti delle complicate, e delicate incisioni ripiene di figure assai piccole, che furono rilevate con grande chiarezza.
L’effetto della copia quantunque, come è naturale, differente dall’originale (sostituendosi il lume alle ombre, e viceversa,) è spesso molto piacevole, e suggerirebbe, credo, all’artista delle utili idee riguardo alla luce, ed all’ombra.
Si può supporre che l’incisione venisse imbrattata, o guasta col premersi contro la carta preparata; ma non vi è alcun pericolo di questo, purchè siano entrambe perfettamente secche. Sarà bene il far menzione però, che nel caso, in cui qualche macchia fosse osservata sulla incisione, si toglierà prontamente con una chimica applicazione, che non recca alcun danno alla carta.
Nel copiare le incisioni, ecc. con questo metodo i chiari, e le ombre sono rovesciati, e conseguentemente l’effetto è intieramente alterato. Ma se il disegno così ottenuto è prima preservato dalla luce del sole, può essere in seguito impiegato come un oggetto da essere copiato, e col mezzo di questo secondo processo i chiari e le ombre sono trasportati nella loro originale disposizione. In tal modo si ha a contendere colle imperfezioni che sorgono da due processi invece di uno; ma credo che si troverà unicamente una difficoltà del maneggio. Propongo d’impiegarlo al proposito più particolarmente di moltiplicare con poca spesa la copia di quelle rare, ed uniche incisioni, che non si potessero reincidere per la limitata loro ricerca.
Non aggiungerò che poche osservazioni risguardanti la singolare circostanza che aveva prima brevemente accennata, cioè, che la carta qualche volta quantunque preparata colla più sensibile qualità, diviene nella prova pienamente insensibile alla luce, ed incapace di cambiamento. La più singolar parte di questo è la pochissima differenza nel modo di preparazione, che produce tanta discrepanza nel risultato. Per esempio un foglio di carta è intieramente preparato, al tempo stesso, e colla intenzione di dargli tutta l’uniformità possibile, e quando è esposta alla luce del sole questa carta avrà delle grandi macchie bianche di tratteggi, ove il preparato processo aveva mancato, ed il rimanente della carta, in cui era perfetta, diverrà nera con molta rapidità. Qualche volta le macchie sono di una pallida tinta di un bleu ceruleo circondata da moltissimi tratteggi di una decisa bianchezza contrastanti colla nerezza della parte immediatamente riuscita. Riguardo alla teorica di ciò, sono disposto a stabilire, come mia opinione al presente, che è una causa di quelle che chiamerei in stabile equilibrio. Il processo seguito può produrre uno dei due definiti chimici composti, e quando avviene di giungere presso al limite, che separa le due cause, dipende da una tenuissima, e spesso impercettibile circostanza, che dai due composti saranno formate: che essi siano entrambi di una perfetta composizione non è ora che una mia congettura; che siano grandemente differenti è evidente dalle loro dissimili proprietà.
Mi sono occupato di dare un breve saggio di alcune delle particolarità relative a questo nuovo processo, che offro agli amatori delle scienze e della natura. Che sia suscettibile di grande miglioramento non ne dubito; ma anche nell’attuale stato credo, che si troverà capace di molto utili ed importanti applicazioni, oltre quelle, delle quali ho qui dato un breve cenno.
Ateneo di Londra del 23 Febbrajo 1839.
Fotogenica impressione.
Il soggetto si divide (dice il sig. Talbot) in due capi — La preparazione della carta, ed i mezzi di fissare il disegno. Quanto riguarda, ciò che possiamo chiamare l’ordinaria fotogenica carta, l’Autore sceglie principalmente quella di buona e dura qualità, e di una superficie levigata, e crede che la migliore sia la sopraffina per iscrivere. La bagna in una debole soluzione di sale comune, e la fa asciugare in modo che il sale sia uniformemente distribuito fra la sua sostanza. Allora vi passa una soluzione di nitrato d’argento su di una sola superficie, e la fa asciugare al fuoco. La soluzione non sarebbe saturata se non viene sei od otto volte diluta con acqua. Quando la carta è secca è idonea all’uso. Egli trovò coll’esperimento che vi è una certa proporzione fra la quantità del sale e quello della soluzione d’argento che risponde meglio, e dà il massimo effetto. Se la forza del sale è aumentata al di là di questo punto, l’effetto diminuisce, ed in certi casi diviene eccessivamente tenue. Questa carta se è convenevolmente fatta, è molto utile per tutti gli ordinarj disegni fotogenici. Per esempio nulla può essere più perfetto delle immagini che essa dà delle foglie e dei fiori, specialmente nel sole estivo. La luce passando fra le foglie delinea tutte le ramificazioni dei loro nervi. Se un foglio di carta così preparato è preso, e bagnato colla soluzione saturata, e poi asciugata si troverà (specialmente se la carta sarà tenuta alcune settimane avanti farne l’esperimento) che la sua possibilità è grandemente diminuita, ed in alcuni casi sembra intieramente estinta. Ma se sarà di nuovo bagnata con una abbondante quantità della soluzione d’argento, diverrà ancora sensibile alla luce, ed ancor più di quello che lo era innanzi. In questo modo col bagnare alternativamente la carta col sale, e coll’argento, ed asciugarla di volta in volta, il sig. Talbot è riuscito ad accrescerle la sensibilità al segno richiesto per ricevere le immagini della camera oscura. Nell’eseguire questa operazione si scorgerà che i risultati sono qualche volta più, ed ora meno soddisfacenti in conseguenza di piccole, ed accidentali variazioni nelle impiegate proporzioni. Avviene qualche volta che il cloruro d’argento è disposto ad annerire da sè stesso senza alcuna esposizione alla luce. — Ciò dimostra che l’operazione di dargli la sensibilità era stata eccedente. L’oggetto è di approssimarsi a questa condizione il più possibilmente senza raggiungerla; talchè la sostanza debba essere in uno stato pronto a produrre l’effetto alla più leggiere estranea forza, e tale come per dargli una debole spinta col raggio paonazzo ancorchè molto attenuato. Avendo però disposto un numero di fogli di carta con una piccola differenza l’uno dall’altro nella composizione, ne tagliò un pezzo per ciascuno col marcarli esattamente, o numerarli, e li collocò da ogni parte ad una debole diffusa luce per circa un quarto d’ora. Allora se alcuno di loro, siccome frequentemente accade, offre un miglior vantaggio sopra gli altri, il sig. Talbot sceglie la carta che porta il corrispondente numero per disporlo nella camera oscura.
Quanto al secondo scopo — quella di fissare le immagini — il sig. Talbot osserva, che dopo aver fatta la prova coll’amoniaco, e con vari altri reagenti con alcuni imperfetti successi, il primo che gli diede un ottimo risultato fu l’iodio di potassa molto diluto con acqua. Se un fotogenico dipinto è bagnato con questo liquido un iodio d’argento è formato, che è assolutamente inalterabile alla luce del sole. Questo processo richiede della precauzione, poichè se la soluzione è troppo forte intacca le parti nere del dipinto. Si rende opportuno quindi di trovare colla esperienza le positive proporzioni. La stabilità dei dipinti in questo modo colla dovuta pratica è molto vaga, e durevole. Il saggio di un merletto, che il sig. Talbot ha offerto alla società, e che fu fatto sei anni prima, venne preservato in questo modo. Ma il suo metodo ordinario di fissare è differente da questo, e qualche cosa più semplice, od almeno che richiede minor delicatezza. Questo consiste nell’immergere il dipinto in una forte soluzione di sale comune, e di asciugare la superflua umidità, e seccarla. Egli è assai singolare che la stessa sostanza tanto utile per dare la sensibilità alla carta, sia anche atta sotto altre circostanze di distruggerla ma tale è il fatto. Se l’impressione che è stata così bagnata ed essicata si pone al sole, la bianca parte si colora di una pallida tinta lila dopo che divenne insensibile. Con moltissimi esperimenti l’autore ha dimostrato che l’intensità di questa tinta lila varia secondo il quantitativo del sale impiegato relativamente a quello dell’argento; ma per far risaltare meglio le immagini, se si vuole, si devono lasciare di una assoluta bianchezza. Egli osserva anche che quelle preservate dall’iodio sono sempre di un pallido fiore di primavera giallo che ha la straordinaria e rimarchevole proprietà di divenire un pieno sfoggiato giallo allorchè si espone al calore del fuoco, e ritorna al suo primiero colore quando è al freddo.
FINE.